“Sette anni fa il 19 gennaio 2015, la mia vita è cambiata drasticamente. Fino ad allora avevo condotto una vita normalissima, tra amici, lavoro e sport. Ho giocato a basket nel Firenze 2 e anche a pallavolo con gli amici. Poi, quel giorno, dopo essere uscito con gli amici, sono rincasato e andato a letto. Durante la notte però mi è salita la febbre, era alta e avevo dolori molto forti agli arti. Sembrava una normale influenza, poi però sono comparse macchioline color porpora sulla pelle. Quando è venuto il medico a visitarmi ha consigliato il ricovero in ospedale, anche se non pensava certo fosse meningite, perché non avevo la nuca rigida né altri sintomi. Ho salito le scale e sono montato sull’ambulanza da solo.
Arrivato in ospedale le macchie sul corpo si fecero sempre più evidenti. E con le prime necrosi arrivò la diagnosi: meningite di tipo C asintomatica. E così mi hanno fatto salutare i miei familiari e mi hanno intubato.
Mi ero aggravato sono rimasto in coma farmacologico presso l’ospedale di Torregalli per 21 giorni. Poi due primari, rispettivamente di cardiologia vascolare e di chirurgia della pelle, sono venuti a visitarmi e deciso di farmi trasferire in un centro grandi ustioni. Il primo che ha risposto all’appello è stato il Cto di Torino. Sono arrivato lì il 9 febbraio trasportato dall’elicottero Pegaso. I miei genitori sono venuti in macchina e per starmi vicino hanno preso in affitto un piccolo appartamento. È stato un periodo molto difficile, i medici per salvarmi la vita hanno dovuto procedere a molti interventi: prima all’amputazione degli arti inferiori, perché hanno tentato fino all’ultimo di salvarmi le mani, ma non ce l’hanno fatta.
Scusate l’emozione ma ogni volta che parlo di questo, rivivo momenti difficili. È stato un periodo tremendo, ma l’equipe di Torino mi è stata molto vicino e lo stesso primario veniva spesso a parlarmi, a cercare di tranquillizzarmi. Lui, insieme all’affetto dei miei familiari e degli amici, mi ha fatto capire che la vita è importante. Che è una e va vissuta con positività anche se in condizioni diverse.
Sono venuti a trovarmi, oltre alla sorella e al fidanzato, le zie, gli zii, tanti amici. È venuta anche Bebe Vio che ha avuto la stessa mia malattia e le stesse amputazioni: vedendo la sua energia ha trasmesso a me e ai miei positività, e infuso la speranza che attraverso l’impegno e la fiducia nella vita i risultati arrivano.
Ho conosciuto Terence Hill, me lo ha presentato Don Piero, il cappellano dell’ospedale. Una persona squisita che mi ha regalato un’ora di tempo e di felicità. Con lui ho ricordato i tempi in cui con mio nonno ero un assiduo spettatore dei suoi film.
L’8 maggio feci il viaggio di ritorno verso Firenze, diretto al centro riabilitativo Don Gnocchi, dove ad aspettarmi ho trovato tantissimi amici e familiari. Lì ho iniziato la riabilitazione, ma in attesa delle prime protesi, mio padre mi aveva costruito delle protesi artigianali realizzate con bottiglie di plastica che si infilavano nei monconi delle mani, su cui aveva attaccato posate, racchetta da ping pong, penna, così da potermi dare un minimo di autonomia. Dopo tanti mesi passati fra letto e carrozzina finalmente sono arrivate le protesi: poter camminare, mangiare, sfogliare i libri, giocare a ping pong, è stato molto importante. Al centro Don Gnocchi ho conosciuto anche il mitico numero 10 Giancarlo Antognoni, portato da un amico di Matteo, il fidanzato di mia sorella. Per me che sono tifosissimo della Fiorentina è stata una bellissima sorpresa.
Ora cerco di vivere una vita normale, nonostante alcune difficoltà. Cerco di vedere qualche amico, compatibilmente con la pandemia. Seguo la Fiorentina, la Pallavolo Femminile, leggo libri, faccio volontariato alla Misericordia di Firenze, dando il mio apporto al computer e rispondendo al telefono. Pratico nuoto a livello agonistico, anche questo l’ho interrotto solo per il periodo della pandemia: a novembre ho partecipato al campionato italiano assoluto a Riccione, arrivando sesto su dieci.
Il consiglio che mi sento di dare dopo la mia esperienza è quello di vaccinarsi per proteggersi e per proteggere le persone a noi vicine. E di non arrendersi mai. Di percorrere la vita nonostante le difficoltà. Perché la vita è fatta così: ci sono momenti bellissimi e situazioni difficili che non possiamo prevedere. Quello che ho imparato è che davanti alle difficoltà dobbiamo trovare la forza di rialzarci, di affrontare tutto con positività. Perché la vita è una, e grazie alla mia famiglia e ai miei amici io ho deciso di viverla con il sorriso di chi non vuole arrendersi mai."